domenica 9 agosto 2015

#17: Al Consolato; Meno venti.

La sera prima del colloquio al Consolato Americano ho controllato almeno cinquanta volte di avere preparato tutti i documenti necessari. Leggendo quello che avevano scritto altri exchange students sul colloquio al Consolato ho scoperto di non poter portare borse o zaini perchè non mi avrebbero fatta entrare, così quella mattina salgo in treno con il minimo indispensabile: cartelletta con i documenti, telefono e cuffiette in una tasca, portafoglio nell'altra, biglietto in mano.
Durante il viaggio in treno ha iniziato a piovere e ho pensato "Ecco, non ho l'ombrello, arriverò al Consolato bagnata fradicia". Sono stata fortunata perchè una volta a Milano ha smesso di piovere. Esco dalla stazione e inizio a cercare sulle mappe il percorso da fare: la strada è tutta diritta, impossibile perdersi.
E fu così che io, con il mio infallibile senso dell'orientamento, riuscii a sbagliare strada all'ultimo momento.
Chiedo indicazioni a una signora che mi rimanda sulla retta via e finalmente avvisto una bandiera americana volteggiare da un edificio bianco. Attraverso la strada e mi metto in coda fuori da una struttura trasparente, dove un poliziotto mi controlla il passaporto. Davanti a me ci sono solo un paio di ragazze. Quando arriva il mio turno il poliziotto mi fa entrare, degli altri poliziotti mi fanno spegnere il telefono e depositare le mie cose in una cassetta di sicurezza. Fanno dei controlli come in aeroporto, poi mi fanno attaccare un cartellino alla maglietta, mi danno un numero e controllano nuovamente il passaporto. Un poliziotto mi indica l'ascensore, devo salire al settimo piano (o era il nono? Non mi ricordo).
Entro in questo strano ascensore insieme alle altre due ragazze e notiamo che al posto dei numeri di alcuni piani ci sono solo dei pulsanti neri. Poi la porta del l'ascensore si apre e un altro poliziotto ci dice di attendere in una sala in fondo al corridoio, dove delle file di sedie sono rivolte verso uno schermo con scritto
SPORTELLO 1
SPORTELLO 2 
SPORTELLO 3 
SPORTELLO 4
e di fianco ad ognuno il numero di chi è il turno.
Gli sportelli sono dietro le file di sedie.
Vedo che qualcuno ha con sé la borsa, avrei potuto evitare di dovermi tenere tutto in mano.
Quando compare il mio numero di fianco a SPORTELLO 4 mi reco allo sportello, dove una signora sorridente mi chiede quale visto devo richiedere e se è la prima volta, mi sistema i vari fogli, prende il passaporto e alcuni documenti e mi restituisce quelli che non servono. Mi dice di aspettare che compaia di nuovo il mio numero, così mi siedo di nuovo di fronte allo schermo. I "colloqui" si svolgono agli sportelli 1 e 2 e sentendo le voci dietro di me inizio a notare che alcuni si svolgono in inglese, altri in italiano. Inoltre generalmente quelli allo sportello 2 duravano molto più a lungo di quelli allo sportello 1, così inizio a sperare che mi chiamino allo sportello 1.
I numeri che comparivano sullo schermo non andavano in ordine, ma in modo assolutamente casuale, così nonostante all'inizio ci fossero solo una decina di numeri prima del mio ho aspettato per circa un'ora e mezza prima che sullo schermo comparisse il numero 34SPORTELLO 1 -Evvai!-.
Mi avvicino e saluto la signora dietro allo sportello con un Buongiorno. -Buongiorno- risponde, il colloquio si svolge in italiano. Mi prende le impronte digitali, mi chiede dove andrò e se la mia famiglia vive in Italia.
-Il tuo visto è stato approvato, lo riceverai entro cinque giorni lavorativi. Buona giornata!- mi consegna i documenti che dovrò presentare una volta entrata negli Stati Uniti alla dogana ed il colloquio si conclude.
Scendo, riprendo le mie cose, consegno il cartellino e mi incammino verso la stazione. Faccio per riaccendere il telefono e realizzo di non sapere il PIN: avendo da poco cambiato telefono ho dovuto fare la micro SIM e non avendolo mai spento da allora non mi era mai passato per la mente di dovere cambiare il PIN.
Fantastico, a Milano da sola col telefono bloccato.
Quando arrivo in stazione, sullo schermo dei treni leggo in cima S5 Varese-10:59. Guardo l'ora: sono le 10:58. Inizio a correre, ma quando arrivo al binario 2 il treno stava già partendo. Per fortuna quello successivo era alle 11.30. Una ragazza mi presta il telefono per avvisare i miei genitori, poi mi siedo ad aspettare, finché non arriva l'altro treno e torno a casa.
Il passaporto con il visto J1 mi è arrivato in questa settimana.

Ora tutto è pronto, resta solo da finire la mia presentazione PowerPoint e fare le valigie.
Ho anche scelto il mio posto sul primo aereo, il 32 G, così sarò vicina all'oblò (non ho mai capito come si chiamano i finestrini degli aerei). Spero che non me lo cambino.
Mancano solo 20 giorni alla mia partenza. Sono consapevole del fatto che sto per partire per un anno, ma ancora mi sembra troppo strano, ancora non ci credo. In questo periodo ho più cambiamenti di umore di una donna incinta: non vedo l'ora di partire, ho una paura tremenda, sono felice e sono triste perchè questi sono gli ultimi momenti che passo con i miei amici e con la mia famiglia, tutto questo nello stesso istante o a momenti alternati. Insomma, quando qualcuno mi chiede come mi sento, se gli rispondessi come mi sento veramente penserebbe che mi contraddica da sola. Mi sento in quasi tutti i modi in cui una persona potrebbe sentirsi. Forse non ci capirete niente di quello che sto scrivendo, lo so, la verità è che non capisco neanch'io come mi sento, quindi se non ci state capendo niente tranquilli: avete capito perfettamente.


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